Il metodo del costo deprezzato ed il valore di mercato

Come noto le linee guida emanate dall’Associazione Bancaria Italiana (ABI) annoverano il metodo conosciuto come costo deprezzato, quale possibile procedura di stima del valore di mercato di un immobile; come del resto previsto dalla letteratura scientifica e dagli standard di valutazione internazionali.
Sostanzialmente il metodo considera la possibilità che in alternativa all’acquisto del bene in stima un individuo possa acquistarne uno equivalente che fornisca pari utilità. Ciò comporta l’acquisto del terreno equivalente e la costruzione di una nuova costruzione equivalente (International Valuation Standards). Il metodo definito come cost approch o depreciated replacement cost viene declinato sommando il valore di mercato dell’area edificata (VMarea) e il costo di ricostruzione del fabbricato (Kt) eventualmente deprezzato per vetustà e obsolescenza (D). Formalmente:

VMfabbricato = VMarea + Kt – Kt × D

La precedente formula è riscrivibile come:

VMfabbricato = VMarea + Kt (1 – D)

In merito alla determinazione del coefficiente D numerosa è la bibliografia con diverse indicazioni o suggerimenti sulla determinazione del coefficiente; in questa sede ci si limita a ricordare uno degli approcci più semplici e diffusi (tra l’altro indicato dagli Standard Europei di Valutazione Immobiliare, EVS):

D = m / n

Dove m è l’età del fabbricato ed n la vita economica dello stesso.

Nella mia attività professionale mi capita molto spesso di riscontrare un uso piuttosto “disinvolto” o forzato della procedura indicata, rilevando un errore filosofico abbastanza frequente quale: considerare come il mondo debba adattarsi al modello e non viceversa.

Va in via preliminare osservato come il metodo possa essere utilizzato per la stima di immobili qualora per gli stessi non sia applicabile la stima diretto comparativa o sintetica (consistente nella comparazione con immobili simili di noto prezzo di mercato) e quando al bene non sia attribuibile un reddito. L’impossibilità applicativa del metodo diretto comparativo e della capitalizzazione del reddito residuano quale ultima possibilità l’utilizzo del metodo del costo.

Tuttavia il metodo non fornisce un valore di mercato, ma semmai, in alcuni casi, il massimo prezzo ottenibile dalla potenziale cessione dell’immobile; costituisce un’applicazione del valore di surrogazione: nell’impossibilità di stimare direttamente il bene in oggetto se ne stima a valore di costo uno in grado di sostituirlo.

Fin qui tutto logico e comprensibile, ma dal piano teorico a quello pratico: pensiamo ad immobili produttivi (ad esempio capannoni industriali/artigianali) collocati in aree produttive depresse o in distretti industriali in recessione o addirittura non più economicamente rilevanti, esiste veramente una domanda di mercato disposta a pagare il bene almeno per quanto costa? La risposta negativa è ovvia e trova empiricamente fin troppe conferme. E ancora, una struttura alberghiera collocata a suo tempo strategicamente in prossimità ad un distretto industriale oggi non più attivo, vale ancora come minimo per quanto costa realizzarla?
Ognuno può attingere a molti altri esempi analoghi derivanti dalla propria attività professionale, ma in sostanza e in via generale: il prezzo di mercato è una cosa e il valore di costo un’altra, se esistesse una legge che ne impone come minimo l’uguaglianza la nostra non sarebbe più un’economia di mercato, ma qualche cosa d’altro.

A conclusione, come sempre nell’estimo, il ragionamento sotteso dalla valutazione non può mascherarsi o trovare unica giustificazione dal metodo, ma posto che il perito non può e non deve sostituirsi al mercato, ma deve solamente saperlo interpretare, anche nell’applicazione del metodo del costo deprezzato il valutatore deve utilizzare il giusto discernimento.

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